Attraversò la spianata immerso in questo sogno angoscioso. Efes Mulas fischiò; i cani abbaiavano rabbiosamente. E nell'apertura della capanna apparve un uomo piccolo e nero, dal profilo e gli occhi d'aquila: lunghi capelli neri gli cadevano sino al collo, incorniciandogli il volto raso.
Era il padre di Azar.
Egli sapeva della venuta del figlio e del Mulas; aveva quindi preparato una cena abbondante, di latticini, carne, frutta e miele.
- Tacete! - gridò ai cani: e i cani tacquero. - È mio figlio, che diavolo! Il professore! E poi c'è Efes Mulas riccone e cacciatore, che si degna visitare l'ovile del povero Giacobbe Azar. Muovete dunque la coda, cani rognosi.
E i cani, niente offesi dell'ultima ingiuria, cominciarono a far festa.
- Buona sera, zio Giacobbe; come state? Chi c'è la dentro? Chi vedo? Zio Martinu Colias? E vostra figlia Colomba? La lasciate così sola nell'ovile? Ah zio Martinu, cosa fate voi?
- Cosa, cosa? Buona sera signor Efes, buona sera signor Antonio; io sono venuto qui per prepararvi l'arrosto, per farvi l'insalata, per tenervi allegri - rispose zio Martinu. Era un uomo alto, selvaggio, con gli occhi obliqui, i capelli intricati, e due grandi baffi rossi che gli spiovevano a uncino sul mento.
- Abbiamo davvero visto Colomba: correva, portava sulla testa un involto -. Il Colias allora disse:
- Quando è così io vado.
- Tu vai? E non resti a cena, vecchio falco, che il diavolo ti roda il mento? Queste non son figure da farsi! Va, ma torna qui, subito, con tua figlia.
Il Colias nicchiava: voleva andarsene, ma non tornare.
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