Io non ti chiedo nulla, - proseguì Colomba animandosi, - mi basta di vederti, esserti qualche volta vicina, sapere che tu pensi a me. Tu sei un sapiente, io sono una selvaggia ignorante: che può forse il garofano unirsi al fiore del lentischio? Tu sei il mio garofano adorato, tu sei un'aquila, tu sei una nuvola d'oro, ed io voglio morire ai tuoi piedi, Antonio Azar. Basta che i tuoi occhi di stella mi guardino, ed io sono la donna più felice del mondo...
E lo guardava estasiata, con gli occhi lucenti, tutta vibrante di passione.
Intorno, sotto la luna purissima, era un silenzio infinito, un incanto di lontananze, d'ombre, di luci, di profumi aromatici, di frescura.
- Questa è la vita, questa è la sincerità, l'amore, lo scopo dell'esistenza - pensò Antonio.
E in quel momento egli era sincero, felice. Forse risorgeva in lui qualche istinto atavico, forse era il suo amor proprio lusingato dalla cieca passione di Colomba; certo è che in quel momento egli si sentiva innamorato della fanciulla, non solo, ma gli sembrava che non avrebbe più potuto amare una donna civile come amava quella selvaggia.
Per lunga ora della notte rimasero assieme, dicendosi le cose più poetiche e figurate che due innamorati possano dirsi sotto la luna; e Colomba pareva dimentica persino del padre, dell'ovile, del luogo ove si trovava.
Ma Antonio guardava sempre intorno, a sé, allarmandosi ad ogni rumore, e fu egli ad avvertire Colomba che era tempo di separarsi.
Ella se n'andò a malincuore. Rimasto solo, Antonio parve svegliarsi da un sogno.
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