In questa incongruità incorsero invece generalmente i fitologi, i quali nei trattati generali o speciali che pubblicarono sulla botanica non seppero bene isolare i fenomeni delle esternazioni vitali delle piante, e li trascurarono oppure li amalgamarono coi fenomeni della vita interna. Si può avere facilmente la spiegazione di questa incongruità se si pensa che dovette essere la legittima conseguenza di alcune opinioni assai radicate e diffuse, le quali non ostante mi sembrano pregiudicate.
Negli animali, costituiti come sono di elementi istologici di molle consistenza, ovvii e facilmente riconoscibili si presentano gli atti e le estrinsecazioni della loro sensitività, velleità ed intelligenza, e ciò mercè il sicuro pronostico della locomozione nel tempo e nello spazio. Laddove le piante fatalmente incatenate in elementi anatomici rigidi e poco flessibili, e per lo più fissate al suolo inesorabilmente, non sogliono che in rarissimi casi dar prova di sensitività. E siccome la sensitività fu giudicata il solo prodromo vero ed indizio certo della intelligenza, egli è perciò che la intelligenza venne generalmente negata alle piante. Questa conclusione a me pare un grave errore, figlio d’una superficiale appreziazione dei fatti.
Colla scorta di sereno spirito filosofico si sollevi il velo dell’apparente immobilità ed insensibilità delle piante, e sotto esso si ravviserà il principio vitale senziente, plasmante ed intelligente, manifestato da una serie di fenomeni curiosissimi, i quali rivaleggiano per numero, per varietà, per genio e per efficacia con quelli presentati dagli esseri del regno animale.
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