Roberto Brown nella prefazione al Prodromo della flora della Nuova Ollanda, pensò di sostituire altra metafora. «Jussaeanam methodum secutus sum, cujus ordines plerique vere naturales... Nec de ordinum serie admodum sollicitus fui; ipsa natura enim corpora organica reticulatim potius quam catenatim connectens talem vix agnoverit».
Filippo Parlatore infine con altre immagini espresse analoghi concetti nelle sue Lezioni di botanica comparata (Firenze 1843).
«La serie degli esseri, ei dice a pag. 47, non deve essere riguardata come una serie aritmetica o logaritmica: essa non deve considerarsi nello sviluppo di ciascun sistema organico ma nell’insieme della organizzazione: è una catena di monti che riguardata da lontano parrà non interrotta e continua, ma che offrirà valli e divisioni vista da vicino: è un fiume che per giungere fino alla foce di tratto in tratto si biforca, che perde qualche sua branca nella sabbia, che si riunisce e si divide altra volta per tornarsi nuovamente a riunire.»
Una prima e non leggiera difficoltà restava a superarsi dai fautori della teoria della fissità delle specie. Restava cioè di dare una precisa definizione del concetto che deve affiggersi al vocabolo specie, e di delineare rigorosi confini tra le idee di specie, razza e varietà.
Linneo, forse per il primo, tentò questo scabro argomento. «Species tot sunt (ei dice nelle sue Classes plantarum, 5) quot diversas formas ab initio creavit Infinitum Ens; quae formae, secundum generationis inditas leges, produxere plures at sibi semper similes.
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