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      «Ea genericae constructionis norma in presenti scientiae statu utilis, arbitraria tamen videtur et etiam num indefinita ideoque nondum generibus vere naturalibus conficiendis omnino sufficiens, contradicente Linnaeo qui suas generum coesuras semper naturales judicat».
      P. Flourens il più ardente partigiano della fissità delle specie e vogliam dire anche il più rigorosamente logico espositore della teoria, ha in vari scritti e specialmente nella Ontologie naturelle meglio che tutti segnato il confine tra idea di specie e l’idea di genere. Secondo lui appartengono ad una specie tutti gl’individui consanguinei che usciti da un tipo primordiale possono sessualmente propagarsi per una illimitata serie di generazioni, e appartengono invece ad un genere quegli individui che usciti da un tipo primordialmente distinto possono pure sessualmente propagarsi tra loro, ma con effetto di prole ibrida, incapace cioè di propagarsi oltre un piccolissimo numero di generazioni. Insomma carattere della specie sarebbe la fecondità continua e perenne, e carattere del genere la fecondità limitata.
      A quest’opinione accede fra gli altri E. Meyer (Ueber die Beständigkeit der Arten, besonders in Pflanzenreich, Königsberg, 1853). Ravvisa egli pure nei fenomeni dell’ibridismo la barriera che separa l’una dall’altra le specie militanti sotto un genere.
      Meyer però diversifica grandemente per un punto da Flourens e dagli altri autori sovra nominati, i quali tutti consentono nell’attribuire agl’individui costituenti una data specie due attributi, quello cioè della consanguineità e quello dell’isomorfismo.


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Memorie di biologia vegetale
di Federico Delfino
pagine 607

   





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