Per uno che si faccia un adeguato concetto di questa imagine ideale, tosto apparirà la estrema analogia ed applicabilità della medesima coll’immagine reale che ci si affaccia, quando con uno sguardo sintetico misuriamo l’intiero regno vegetale. Ed è al senso intimo di questa perfetta analogia che io faccio appello perché si vegga quanto maggiori e più numerosi siano i gradi di probabilità per la teoria della variabilità della specie anziché per la teoria contraria.
La esperienza ci mostra direttamente come a fronte di pochissimi individui che prosperano il maggior numero muoia anzi tempo e si estingua, e come la stessa cosa avvenga delle prosapie, e così delle sottorazze, delle razze e delle specie. Quanto alle estinzioni di queste ultime noi abbiamo irrefragabili documenti negli strati geologici; e per alcune poche anzi possediamo perfino documenti tradizionali (ex. gr. per il Didus ineptus).
Dove la esperienza non giunge, subentra il ragionamento, per il quale noi, partendo dal fatto della estinzione di una immensità d’individui di estremo, di penultimo, di antepenultimo e quartultimo grado (individui semplici, sottorazze, razze e specie), siamo legittimamente autorizzati a dedurre ed argomentare che la stessa cosa deve pure aver luogo in linea ascendente, fra gl’individui cioè dei gradi superiori, quali sono i sottogeneri, i generi, le sottotribù, le tribù, le famiglie ecc. Niente osta dunque, proseguendo l’adottata metafora, che c’imaginiamo come la nostra gran pianta stolonifera sempre più dilatandosi lungo il corso dei secoli, vada perdendo ora questo, ora quel centro, ora questo o quel subcentro, ora lignaggi e propaggini intiere, ora il capo, ora la fine d’un lignaggio, ora tutti e due i capi, ora il mezzo soltanto.
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Didus
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