Miglior ventura in queste ricerche mi stava riservata a Chiavari, ove dovetti recarmi verso il fine di luglio 1865, e ove mi trattenni per circa sette giorni. Appena giunto e sceso in giardino, ebbi a bella prima un grave disappunto nel non iscorgere più traccia delle pianticelle di Hoya carnosa e di Stapelia variegata (?), le quali negli anni scorsi vegetavano lietamente, e specialmente quest’ultima era ricca di fiori e frutti abboniti in totalità. Erano sì le une che le altre perite o per mancanza di cure, o per non essere state riparate dall’inclemenza della stagione invernale.
Ancor non era cessata la sensazione del mio disappunto, che voltando l’occhio a caso sopra un arancio di bassa statura, scorsi tutta la sua chioma impigliata e letteralmente vestita da numerosissime infiorescenze fornite di grossi fiori bianchi campanulati, e provenienti da una pianticella rampicante. L’aspetto generale della stessa, specialmente pel fusto volubile e per l’abito e la disposizione delle foglie, mi portò subito nel pensiero dovesse quella essere o un’apocinea o un’asclepiadea.
L’esame del fiore (che presentava organi relativamente assai cospicui) e in primo luogo il fenomeno del polline conglutinato in masse, mi accertarono senz’altro che apparteneva alle asclepiadee. Era un individuo di Physianthus albens Mart. (Arauya sericifera Brot.?), come venni a sapere in seguito.(13)
L’inopinata scoperta, nonché la straordinaria copia di fiori, tutti colle loro appariscenti e bianche corolle volte verso l’aspetto del cielo, quasi per meglio allettare gli insetti al servigio di favorire le loro nozze, non nego che mi riempirono l’animo di una presaga espettazione.
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