Questo fatto, la cui realtà non può essere revocata in dubbio, ha una significazione biologica importantissima. È data forse per la prima volta, la prova diretta che la regolare immissione dei tubuli pollinici e la loro insinuazione nelle cavità ovariane, non è una contingenza per sé sufficiente ad assicurare la fecondazione o la concezione. Tale sterilità è dunque ascrivibile ad altra causa e questa causa, io sospetto fortemente che possa consistere appunto nella mancanza della dicogamia.
È noto che in quasi tutte le città d’Italia, escluse Genova, Napoli, Roma e qualche altra la Hoya carnosa, sebbene coltivata estesamente, non fruttifica giammai. Ora come si suol propagare una tal pianta? Non già per semi ma per gemme. Per il che è assai probabile che in una data città tutte le piante di Hoya che vi si coltivino appartengano ad un medesimo individuo. Si comprende che in tal caso non potendosi avere un reale incrociamento, la fruttificazione debba risultarne gravemente compromessa. Io son d’avviso che procurandosi pianticine di Hoya provenienti da semi, esponendole d’estate una vicina all’altra in sito aperto ed accessibile alle api, si otterrebbe una copiosa fruttificazione.
Fors’anco l’allegata sterilità potrà dipendere da mancanza di vigor vitale, come inclina a credere il ch. professore Attilio Tassi nelle sue dotte ricerche sulla fruttificazione della Hoya carnosa, pubblicate nel periodico «I giardini» (vol. II, Milano 1855, pag. 440 e segg.).
In quelle Asclepiadee, ove la fecondazione si esegue per via della proboscide e non per via delle zampe degli insetti, le cinque cavità nettariflue alternano costantemente colle antere, come può vedersi nelle piante appartenenti a generi Arauya, Cynanchum, Vincetoxicum, Stapelia, Bucerosia Ceropegia ecc.
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