Tutti i morfologi hanno per verità esaminato e discusso lungamente il fenomeno della aderenza ora citata nonché la sua significazione organografica, ma nessuno per quel che io mi sappia ne ha spiegato la singolare significazione biologica.
Passeggiando dunque io nell’ottobre del 1866 in un giorno ventoso per una via di Firenze, scorsi alquanto più in alto della mia persona procedere innanzi volando un oggetto che per buona pezza ritenni, con illusione completa, atteso anche un leggero vizio miopico della mia vista, altro non dover essere che una farfalla, appartenente forse a una specie per me nuova. Siccome la direzione dell’oggetto medesimo e la sua velocità di traslazione coincidevano presso a poco con quelle che avea io, così mi riescì facile di seguitarlo per un tratto di circa una trentina di passi, fino a tanto che, abbassatosi quello alcun poco, mi riuscì di afferrarlo colle palme, e invece di stringere una farfalla, mi accorsi non senza sorpresa di avere colto un frutto di tiglio munito del peduncolo e dell’aderentevi brattea. Allora mi feci a riflettere sul gioco che poteano avere le sue parti in quel viaggio aereo e rimasi colpito dalla semplicità e perfezione cui quel piccolo apparecchio areonautico, che per la ben calcolata proporzione dei suoi elementi son persuaso farebbe la meraviglia di un matematico. Il frutto che è la parte specificamente più ponderosa, serve di contrappeso, e mantiene l’apparecchio in posizione tale che il peduncolo si conserva verticale e la brattea rimane alquanto obliqua nel senso della sua lunghezza.
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Firenze
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