[163] Per la qual cosa, ubidito che noi abbiamo all’usanza, tutto il rimanente in ciò è superfluità et una cotal bugia lecita; anzi, pure da quello innanzi non lecita, ma vietata, e perciò spiacevole cosa e tediosa agli animi nobili, che non si pascono di frasche e di apparenze. [164] E sappi che io, non confidandomi della mia poca scienza, stendendo questo presente trattato, ho voluto il parere di più valenti uomini scientiati; e truovo che un re il cui nome fu Edipo, essendo stato cacciato di sua terra, andò già ad Atene al re Teseo, per campare la persona (ché era seguitato da’ suoi nimici), e dinanzi a Teseo pervenuto, sentendo favellare una sua figliuola et alla voce riconoscendola (perciò che cieco era), non badò a salutar Teseo, ma, come padre, si diede a carezzare la fanciulla; e, ravedutosi poi, volle di ciò con Teseo scusarsi, pregandolo gli perdonasse. [165] Il buono e savio re non lo lasciò dire, ma disse egli: - Confortati, Edipo, perciò che io non onoro la vita mia con le parole d’altri, ma con le opere mie -: la qual sentenza si dèe avere a mente; e come che molto piaccia agli uomini che altri gli onori, non di meno, quando si accorgono di essere onorati artatamente, lo prendono a tedio, e più oltre lo hanno anco a dispetto. [166] Perciò che le lusinghe (o adulationi che io debba dire) per arrota alle altre loro cattività e magagne hanno questo difetto ancora: che i lusinghieri mostrano aperto segno di stimare che colui cui essi carezzano sia vano et arrogante et, oltre a ciò, tondo e di grossa pasta e semplice sì che agevole sia d’invescarlo e prenderlo.
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