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      XXVIII [288] Non si dèe adunque l’uomo contentare di fare le cose buone, ma dèe studiare di farle anco leggiadre: e non è altro leggiadria che una cotale quasi luce che risplende dalla convenevolezza delle cose che sono ben composte e ben divisate l’una con l’altra e tutte insieme, sanza la qual misura etiandio il bene non è bello e la bellezza non è piacevole. [289] E sì come le vivande, quantunque sane e salutifere, non piacerebbono agl’invitati se elle o niun sapore avessero o lo avessero cattivo, così sono alcuna volta i costumi delle persone, come che per se stessi in niuna cosa nocivi, non di meno sciocchi et amari, se altri non gli condisce di una cotale dolcezza, la quale si chiama (sì come io credo) gratia e leggiadria. [290] Per la qual cosa ciascun vitio per sé, sanza altra cagione, convien che dispiaccia altrui, con ciò sia che i vitii siano cose sconcie e sconvenevoli sì, che gli animi temperati e composti sentono della loro sconvenevolezza dispiacere e noia. [291] Per che innanzi ad ogni altra cosa conviene a chi ama di esser piacevole in conversando con la gente il fuggire i vitii e più i più sozzi, come lussuria, avaritia, crudeltà e gli altri, de’ quali alcuni sono vili (come lo essere goloso e lo inebriarsi), alcuni laidi (come lo essere lussurioso), alcuni scelerati (come lo essere micidiale): e similmente gli altri, ciascuno in se stesso e per la sua proprietà è schifato dalle persone, chi più e chi meno, ma, tutti generalmente, sì come disordinate cose, rendono l’uomo nell’usar con gli altri spiacevole, come io ti mostrai anco di sopra.


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Galateo overo De' costumi
di Giovanni della Casa
pagine 75