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      [321] Avenne che, sonando ella un giorno a suo diletto sopra una fonte, si specchiò nell’acqua e, avedutasi de’ nuovi atti che sonando le conveniva fare col viso, se ne vergognò e gittò via quella cornamusa; e nel vero fece bene, perciò che non è stormento da femine, anzi disconviene parimente a’ maschi, se non fossero cotali uomini di vile conditione che ’l fanno a prezzo e per arte. [322] E quello che io dico degli sconci atti del viso, ha similmente luogo in tutte le membra, ché non istà bene né mostrar la lingua, né troppo stuzzicarsi la barba, come molti hanno per usanza di fare, né stropicciar le mani l’una con l’altra, né gittar sospiri e metter guai, né tremare o riscuotersi (il che medesimamente sogliono fare alcuni), né prostendersi e prostendendosi gridare per dolcezza: - Oimé, oimé! - come villano che si desti al pagliaio. [323] E chi fa strepito con la bocca per segno di maraviglia e talora di disprezzo, si contrafà cosa laida, sì come tu puoi vedere; e le cose contrafatte non sono troppo lungi dalle vere. [324] Non si voglion fare cotali risa sciocche, né anco grasse o difformi, né rider per usanza e non per bisogno, né de’ tuoi medesimi motti voglio che tu ti rida, che è un lodarti da te stesso: egli tocca di ridere a chi ode e non a chi dice!. [325] Né voglio io che tu ti facci a credere che, perciò che ciascuna di queste cose è un picciolo errore, tutte insieme siano un picciolo errore, anzi se n’è fatto e composto di molti piccioli un grande, come io dissi da principio; e quanto minori sono, tanto più è di mestiero che altri v’affisi l’occhio, perciò che essi non si scorgono agevolmente, ma sottentrano nell’usanza che altri non se ne avede.


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Galateo overo De' costumi
di Giovanni della Casa
pagine 75

   





Avenne