Sebbene siano, infatti, quasi tutti così evidenti, che basta soltanto intenderli per convincersene, e non ce ne sia nessuno di cui non penso di poter dare la dimostrazione, tuttavia, dal momento che è impossibile che si accordino con tutte le diverse opinioni degli altri uomini, prevedo che sarei spesso distratto dalle obiezioni che farebbero nascere.
Si dirà che queste obiezioni sarebbero utili sia a farmi conoscere i miei errori, sia a favorire negli altri, per questa via, una migliore intelligenza di quel tanto di buono che posso avere; e dal momento che molti vedono meglio di uno solo, cominciando a servirsi fin da ora delle mie, mi aiuterebbero anche con le loro scoperte. Ma benché riconosca di essere estremamente soggetto all'errore, e non mi fidi quasi mai dei primi pensieri che mi vengono, l'esperienza che ho delle obiezioni che mi si possono fare non mi consente di sperarne qualche vantaggio. Infatti ho già sperimentato più volte i giudizi sia di coloro che consideravo miei amici, sia di altri a cui pensavo di essere indifferente, come anche di alcuni che sapevo si sarebbero sforzati per malignità di mettere in luce quel che l'affetto nascondeva agli amici. Ma raramente mi è accaduto di sentirmi fare qualche obiezione che non avessi per nulla prevista, a meno che non fosse assai lontana dal mio argomento; sicché non ho mai incontrato un censore delle mie opinioni, che non mi sembrasse o meno severo o meno equo di me stesso. E non ho neppure mai notato che con le dispute che si tengono nelle Scuole si sia scoperta qualche verità che prima si ignorava; giacché quando si tratta di avere la meglio ognuno si esercita molto di più a far valere il verosimile che a pesare le ragioni dell'una e dell'altra parte; e quelli che sono stati per lungo tempo buoni avvocati non per questo diventano in seguito buoni giudici.
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