Non potè la regina Bianca, che avea scelti per arbitri gl’inviati di Aragona, contraddire a quanto eglino aveano determinato, e perciò partita da Solanto andossene a Catania assistita in quel castello da Gabriele di Faulo, ch’era stato, anche vivente Martino il giovane, destinato a servire e difendere in quel castello questa principessa (51).
Se fu contento il Caprera della sentenza degli ambasciadori catalani, non lo furono certamente coloro che aveano abbracciato il partito della vicaria, i quali a malincuore soffrivano di vederla spogliata di ogni potere, e che tutta l’autorità si fosse tramandata nelle mani del loro nemico, da cui, nulla ostante la tregua, poteano temere che non cercasse de’ pretesti per vendicarsi. Suggerirono adunque a questa principessa che gli ambasciadori catalani l’aveano tradita, e aveano pregiudicati i di lei interessi; e che trovandosi ora libera e in tutta sicurezza, potea rescindere quanto coloro per una certa condiscendenza verso il loro compatriotta aveano ingiustamente sentenziato. Non fu d’uopo di molta fatica per persuadere la regina assuefatta a comandare, la quale cambiando di sentimento dichiarò di non volere più stare a quanto si era stabilito a Solanto. Il primo ad alzar bandiera contro la suddetta convenzione fu il conte Giovanni Ventimiglia, il quale, vantando di essere stato eletto dalla regina Bianca capitan generale, marciò verso Siracusa, e se ne impossessò (52).
Ecco dunque resi inutili i maneggi degl’inviati di Catalogna, ed ecco acceso con nuova forza il fuoco della dissensione, che stava sepolto sotto le ceneri di una finta tregua.
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