Era molto tempo che i nostri mari trovavansi infettati da’ pirati, i quali turbavano il commercio de’ Siciliani. A farneli sloggiare, non avendo i re di Sicilia forze bastanti, fu permesso agli stessi nazionali di esercitare la piraterìa, ma previa la permissione della corte, e con una certa indipendenza dal grande ammiraglio. Accadea nondimeno che questo supremo comandante di mare facesse delle estorsioni a coloro, ch’erogavano le proprie facoltà nel fabbricare, e mantenere delle navi da corso, ed esponevano le loro vite per tenere netti i mari dalle scorrerìe, ed usare contro i nemici della nazione il diritto di [36] rappresaglia. Pensò il re Martino il giovane di riparare a questo disordine, che scoraggiava i Siciliani dall’impegnarsi a discacciare i nemici, e a render sicuro il traffico che facea per mare il regno, e perciò promulgò alcuni capitoli, ed ordinazioni, colle quali prescrivea, quali diritti appartenessero all’ammiraglio, così ne’ trasporti, come nelle prede che accadevano. L’infante Giovanni adunque, poichè venne al governo della Sicilia, udendo le istanze fatte da’ Messinesi, perchè procurasse di difendere il regno dalle scorrerìe de’ Mori, che danneggiavano i popoli, e li metteano in servitù, procurò di animare gli uomini facoltosi a scorrere per i nostri mari, affine di cacciare questi nemici della nazione, e per togliere ogni ostacolo, confermò con un suo dispaccio dato in Catania a’ 18 di agosto 1415 le leggi prescritte dal re Martino intorno all’uffizio dell’ammiraglio (89).
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