Spedì perciò immediatamente nel nostro regno Antonio Cardona, con ordine all’infante Giovanni di ricevere come suo vicario il giuramento di fedeltà dai prelati, dai baroni, e dalle università dell’isola, di deporre nelle mani di Domenico Ram vescovo di Huesca, che era presso di lui, e dello stesso Cardona, la carica di vicerè, e di ritornarsene in Ispagna. Acciò poi il fratello Giovanni non credesse che veniva richiamato per sospetti, che avea sparsi il Velasqez, gli mandò Alfonso l’articolo del testamento del padre, per cui il regno di Sicilia veniva incorporato a quelli della corona di Aragona. E perchè questo amaro sorso fosse inghiottito dal fratello con piacere, furono aspersi gli orli del vaso che lo porgea, del soave liquore di un altro regno; giacchè se gli proponea il matrimonio colla regina Bianca, ch’era l’erede della Navarra.
Nondimeno il re Alfonso non era sicuro che l’affare potesse riuscire come desiderava. Gli animi dei Siciliani erano pur troppo dichiarati di voler essere governati dall’infante Giovanni, e di volerlo per re; laonde era a temersi, se questa commissione non era eseguita con una politica la più sopraffina, che eglino inaspriti non si sollevassero, e non si opponessero alla partenza del loro governatore. A questo effetto fu incaricato il Cardona di muover le pedine con destrezza, e a misura delle circostanze; e gli fu anche consegnato un dispaccio, per cui si accordava all’infante sudetto ogni potere, e la libertà di fare tuttociò che stimasse di essere più convenevole.
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