Durante il reggimento di questi tre vicerè molte cose accaddero, che sono degne di osservazione. Il re Alfonso, che malgrado le guerre nelle quali era occupato, non lasciava di procurare i vantaggi de’ suoi fedeli Siciliani, non contento di avere stabilito per legge, come abbiamo divisato nel capo antecedente, che gli esteri fossero esclusi dalle prelazìe, da’ benefizî, e dalle pensioni, eccetto che non fossero dimorati nel regno lo spazio almeno di dodici anni, volle inoltre nell’anno 1420 che fossero sequestrate tutte le chiese, che non fossero possedute da’ Siciliani, e tutti i loro frutti, proventi, ed introiti, ordinando che questi fossero depositati in potere di una persona proba, e fedele. Fu questa seconda legge intorno alle dignità ecclesiastiche stabilita l’anno 1420, e lo stesso anno dal vicerè Antonio de Cardona promulgata in Palermo agli 8 di settembre, il quale destinò il regio tesoriere, acciò girasse per tutta la Sicilia, e per le isole ad essa aggiacenti, affine di sequestrare le chiese ch’erano amministrate dagli stranieri, e ricevesse i frutti delle medesime, lasciandovi de’ procuratori che in avvenire ne esigessero le rendite (111).
Ritrovarono i tre mentovati vicerè che le spese, che si faceano ne’ giudizî, erano eccessive, ed aggravavano considerabilmente i litiganti non meno nelle cause civili, che nelle criminali. I giudici esigevano esorbitantissimi diritti, e a proporzione i ministri subalterni cercavano di smungere il più che potessero le borse de’ vassalli del re.
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