Vuolsi, per quanto scrive Michele Pio (117), che fosse stato eletto vicerè mentre il re Alfonso ritrovavasi, come or ora diremo, in Messina, per cedola data in quella città a’ 15 di giugno 1421. Fu caro non meno a questo sovrano, che al ridetto pontefice, da cui ottenne lettera al vescovo di Siracusa, allora delegato apostolico, affinchè lo agevolasse per riacquistare i beni della sua chiesa, ch’erano stati ingiustamente alienati; e infatti venne a capo di riprenderli, e fra gli altri ebbe il castello di Aci, ch’era in potere di Ferdinando Velasti.
Giovanni Battista de Grossis (118) pretende, ch’egli fosse stato generale de’ Domenicani, ed a confermarlo rapporta (119) una lettera di S. Vincenzo Ferreri scritta l’anno 1403 al medesimo, nella quale lo chiama maestro generale. Ma bisogna osservare, come ce ne avvertono il P. Vincenzo Fontana (120), e Gian-Michele Cavalieri (121), che allora era la chiesa squarciata dallo scisma di Urbano VI, e di Clemente VII. Questi, che fu eletto papa da quindici cardinali a Fondi, era riconosciuto per legittimo pontefice in Francia, nelle Spagne, in Scozia, nell’isola di Cipro, e nella Sicilia: tutto il resto del mondo cattolico stava sotto l’ubbidienza di Urbano. Or siccome le chiese erano divise, così ancora gli ordini monastici, e perciò quelli dell’ubbidienza di Urbano avevano un generale diverso da quelli dell’ubbidienza di Clemente, e perciò S. Vincenzo Ferreri, ch’era spagnuolo, riconoscea per maestro generale dell’ordine F. Giovanni Podio Catalano, a cui scrivea come suo legittimo superiore, sebbene il resto dell’ordine, che riconoscea per vero pontefice Urbano VI, avesse un altro maestro generale.
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