Invida felici semper Messana Panormo
Posthac Alphonso judice victa sile.
Soggiunge, ch’ei stabilì che i governatori di Palermo fossero in avvenire sei, e che si chiamassero giurati, come si nominavano nei regni di Aragona, di Valenza, e di Catalogna. Tutte queste singolari notizie dice di avere tratte da un repertorio manoscritto del giureconsulto Giovanni Luigi Settimo intorno alle cose feudali, e dalla dissertazione di Giovanni Paternò arcivescovo di Palermo intorno al primato della chiesa palermitana. L’Auria di poi (128) ci avvisa, che Alfonso accordò alla città di Palermo di poter fabbricare un molo fra il castello a mare, e la compagnia della carità, che oggi chiamasi molo piccolo, o la cala; e che un dì andò a Morreale per osservare quel magnifico tempio. Di tutti questi fatti, che narrano i mentovati scrittori, noi non ritroviamo vestigio alcuno presso gli storici contemporanei, e per quel che appartiene a Palermo, ci fa meraviglia, come il de Vio, che registrò tutti i privilegi di Palermo, non faccia motto di quelli, che questi autori ci additano.
Noi intanto, seguendo le pedate dell’autore del frammento della storia siciliana (129), che dee riputarsi contemporaneo, crediamo che Alfonso, il di cui principale obbietto, nel portarsi in Sicilia, fu di assoldar gente, e di prepararsi a soccorrere la regina Giovanna di Napoli, non si trattenne in Palermo che pochissimi giorni, e sollecitamente andossene in Messina, per essere più a portata di [46] compiere il suo disegno. Ivi furono chiamati i baroni, le università, e i prelati siciliani, e vi vennero ancora molti conti, e baroni della Calabria per trattare la maniera, che si dovea tenere a fine di fare sloggiare gli Angioini dagli stati della regina.
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