Il primo errore l’obbligò ad una seconda azione per conquistare l’isola, che avrebbe potuto di leggieri, rotto che fosso stato il ponte, avere nelle mani senza più sguainare la spada; il secondo diè agio all’astuto re moro di rinforzare con altre truppe il castello, e poi che ebbelo assicurato, di far nascere tante, e così grandi difficoltà al trattato di pace, che mancando di giorno in giorno le provigioni all’esercito, dovette Alfonso, per non farlo perir di fame, partirsene senza far nulla, e ritornarsene in Sicilia. La schiettezza del cuor magnanimo di Alfonso non potea confarsi colla frode africana, e coi raggiri di quel versipelle re moro.
Appena arrivato in Messina dopo di essersi trattenuto qualche giorno a Malta, essendo stato ucciso Sergianni Caracciolo l’amasio della regina Giovanna in Napoli, che avea in tutte le maniere frastornati i suoi maneggi per pacificarsi con quella sovrana, si eccitarono nel cuore di questo re le speranze di poter riacquistare l’amore della regina, e già era vicino ad ottenerlo per le opere di Covetta Ruffo duchessa di Sessa, se egli troppo frettoloso non si fosse impegnato a sollevare i baroni principali di Napoli, e fra questi il duca di Sessa marito della mentovata dama, e da lei odiato a morte. Si cambiarono perciò le favorevoli circostanze, nelle quali si ritrovava, e a stento potè ottenere una tregua di dieci anni colla medesima Giovanna (150).
Deposto adunque per allora ogni pensiero di conquistare il regno di Napoli, rivolse Alfonso l’animo a regolare quello di Sicilia.
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