Diremo non ostante di questi quattro presidenti ciò che potremo ricavare da altri fonti.
Non sappiamo se Antonio de Cardona fosse stato quello stesso, che abbiamo appellato vicerè l’anno 1416 con Domenico Ram vescovo di Lerida (163), e di poi l’anno 1419 e 1420 con Ferdinando Velasti, e Martino de Turribus (164). Non sarebbe inverisimile che potesse essere il medesimo; e che colui che fino all’anno 1420 fu nostro vicerè, avesse ripreso dopo sedici anni nuovamente il governo di Sicilia. Ma molte ragioni c’inducono a crederlo diverso. E primieramente essendo egli stato uno del partito del conte di Urgel, quando si trattava l’anno 1412 dell’elezione del nuovo re di Aragona, poichè fu da quel signore spedito a Caspe per suo procuratore, egli è a credersi che fosse già allora un uomo di età matura per trattare un affare di tanta conseguenza; e perciò sarebbe stato molto vecchio all’anno 1436, di cui parliamo (165). Inoltre sarebbe stato un disonore per esso, che dopo di avere governata la Sicilia da vicerè eletto dal re Alfonso l’anno 1416, ora dopo venti anni la reggesse da presidente, che è un grado inferiore a quello di vicerè proprietario, e da sostituito di Ruggiero Paruta privato cavaliere. Queste ragioni ci muovono a persuaderci che questo Antonio Cardona, che per altro era conte di Caltabellotta, e maestro giustiziere del regno, non fosse già quello che l’anno 1416 veduto abbiamo nel cospicuo posto di vicerè.
Di Adamo Asmundo, di cui abbiamo favellato al capo IX di questo libro, non occorre che noi facciamo di nuovo parola, e solo riflettiamo, dall’osservare come spesse volte era egli incaricato del governo del regno, in quale estimazione fosse presso il sovrano, e presso coloro che ne faceano le veci.
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