Ma questa popolarità appunto di Leonardo dispiacea al governo. La ragion di stato non soffriva che la nobiltà dominasse sopra gli animi dei plebei. Fe’ palese il re Alfonso il suo malcontentamento contro di Leonardo, per la troppa familiarità che egli avea colla gente del volgo, allora quando, essendo stato questo barbaramente trucidato in quella occasione, nè il re medesimo, nè il vicerè d’Urrea, che allora governava, vendicarono la morte di questo benemerito cavaliere, come osserva il Fazello (168). Vuolsi, che egli fosse l’autore del rito della gran corte (169), che poi fu approvato, siccome diremo a suo luogo, dal re Alfonso.
Di Battista Platamone, che è il quarto dei presidenti, il Toppi (170), che suol rubarci i nostri ragguardevoli personaggi per farli suoi, pretende che ei fosse patrizio salernitano; ma s’inganna, costando dagli archivii di questa famiglia che ei fu cavaliere catanese, e nacque in detta città da Bernardo Platamone; ed ebbe inoltre due fratelli: Pietro, che fu cavaliere dell’ordine di S. Giovanni Gerosolimitano, e Antonio, che fu vescovo di Malta fin dall’anno 1412, ed era monaco benedettino (171). Battista da ragazzo cadde in mare, e corse risico di sommergersi (172). Fu di poi mandato dal padre a Bologna ad oggetto di apprendervi la giurisprudenza, dove ricevè la laurea dottorale nell’una, e nell’altra legge. Ritornato in Sicilia ricco di legali cognizioni esercitò con molta riputazione il mestiere di avvocato; in guisa che arrivate al re Alfonso le notizie della di lui dottrina in giure, lo promosse l’anno 1420 al rispettabile grado di avvocato fiscale della gran corte, che esercitò per sei anni fino all’anno 1426, in cui rinunciò questa carica per volere del medesimo re, che lo chiamò presso di sè, come consigliere intimo, e segretario.
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