Nell’anno istesso, e nel medesimo mese sortì in Catania un disordine. Eravi ivi fra Pietro Geremia, che oggi la chiesa onora col titolo di beato, dell’ordine dei frati predicatori, il quale siccome predicava contro il vizio, e il mal costume, non andava al genio di coloro, che non osservavano la legge di Gesù Cristo. Un dì, non si sa per qual particolar ragione, fu questo santo religioso insultato pubblicamente da un prete catanese, che avea nome Giuliano Darqueri. Il vescovo di quella città, che era Monsignor Giovanni de Piscibus, udendo l’insolenza fatta al B. Pietro, stimò suo dovere di far carcerare il mentovato sacerdote, e ne diede subito parte al governo. Ximenes de Urrea con lettera scritta in Palermo ai 25 del detto mese loda lo zelo del prelato, e lo esorta ad usare lo stesso rigore in simili casi; ma perchè il B. Geremia avea supplicato il vicerè, acciò si perdonasse a quel prete, comanda che per rispetto alle istanze di quest’ottimo religioso restasse sospesa la causa, nè si procedesse contro il delinquente. In questa lettera del vicerè merita di essere osservato che a quella età ancora costumavasi di declinare i naturali giudizî, allegandosi qualche privilegio, giacchè questo governante dice: et a lu fattu di quilli, li quali per avadiri judiciu declinanu vostru foru, allegandu privilegiu di familiaritati, et cappellania regali, vi risponnimu, chi ni digiati per vostri littiri particularmenti intimari cui, et quali su per nui, proinde ci provedirimu e scriviremuvi comu sinci avrà a procediri (221).
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