Vincenzo Auria (247) racconta, che per le diligenze usate dal vicerč d’Urrea fu liberata una delle navi regie dalle fiamme, e lo stesso avvisa il padre Abate Amico (248), citando l’uno, e l’altro il Panormita (249). Sarebbe la testimonianza di questo uomo illustre di gran peso, come di uno scrittore contemporaneo, che stava ai fianchi del re Alfonso, ma noi sospettiamo a ragione, che il fatto rapportato dal Beccadelli sia diverso da quello, di cui ragioniamo. E primieramente il Panormita parla di un incendio di una nave regia, mentre Lupo Ximenes de Urrea era giŕ vicerč di Napoli: Lupus Simoninus Durreae Dominus per id temporis Neapoli proregem agens, onore che gli fu accordato assai posteriormente. In secondo luogo mentova due navi grandissime: navem alteram ex duabus, quas instar montium rex aedificaverat, quando noi sappiamo che delle due navi che comandava Innico Davalo una sola era grande, e l’altra piccola. Di poi pare dal contesto che Lupo fosse allora a Napoli, quando sappiamo che era in Sicilia, e a Siracusa. Inoltre questo incendio descritto dal Panormita viene attribbuito alla negligenza dei marinari: Nautarum negligentia deflagrasse, come se fosse stato un incendio accidentale; e da ultimo il Beccadelli non fa motto veruno nč di Siracusa, nč dell’assalto dato alle navi regie dai Veneziani, nč della nave incendiaria, con cui fu alle medesime appicciato il fuoco: circostanze tutte, che questo diligente scrittore certamente ommesse non avrebbe. Noi perciň staremo al racconto di Bartolomeo Fazio, autore ancor esso contemporaneo, che stava nella corte di Alfonso, il quale ci attesta che ambedue furono divorate dal fuoco, senza che l’umana diligenza le avesse potuto salvare: appulsa navi incensa illas cremaverunt, nec ulla humana ope inhiberi, restinguive incendium potuit (250).
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