Era l’annona amministrata, come allo spesso succede, trascuratamente da coloro ai quali ne stava affidata la cura; e perciò mancava l’abbondanza dei viveri, che è cosa necessaria nelle città popolose, perchè vi regni la tranquillità. Lupo Ximenes vicerè ritrovavasi in Messina, dove forse da Napoli era venuto, per essere più a portata di custodire il regno nella guerra, che ancor faceano i Veneziani; e la di lui lontananza influiva probabilmente ad accrescere la negligenza dei ministri. La mancanza delle vettovaglie cominciò a rincrescere al popolo: la plebe niente soffre meno, quanto la carestìa; un sordo mormorio cominciò ad udirsi per la città, si faceano delle aspre doglianze, perchè le piazze non erano provvedute, e si stentava ad avere i viveri, e questi per i soliti monopolii si otteneano a prezzi esorbitanti. Non essendo ascoltati dai sordi ministri i lamenti popolari, dalle querele venne la plebe ai fatti, e prese le armi assaltò dapprima le case degli uffiziali dell’annona, e le saccheggiò. Di poi rivolta a quelle dei cittadini ubertosi, ai quali attribuiva la carestia, le spogliò a viva forza. Per quietare questi rumori dei sollevati non vi erano forze bastanti. Il [75] senato, che avrebbe potuto calmare la sedizione, era appunto incolpato, perchè per incuria di esso era la città sprovista, e perciò se vi si fosse provato, lungi dal fermare il corso all’incendio, lo avrebbe maggiormente acceso. Eravi in Palermo Leonardo di Bartolomeo signore della Trabìa, e protonotaro del regno, di cui si è parlato al capo XI di questo libro, cavaliere amato dal popolo, ed autorevole, il quale si rese al luogo dove era la folla dei tumultuanti, e con buone maniere, e dando altronde le provvidenze affinchè il pane non mancasse, venne a capo di tranquillare la città (257).
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