Fu perciò implorato il pontefice Niccolò V, acciò mettesse modo all’avidità degli usurarî, il quale con sua bolla data in Roma nel dì ultimo di settembre 1452 prescrisse, che in avvenire non potesse esigersi dal denaro un frutto maggiore del dieci per cento (280). Questa bolla fu confermata con sua prammatica ai 20 di ottobre dello stesso anno dal re Alfonso, e promulgata in Palermo dal vicerè Lupo Ximenes de Urrea al detto giorno di dicembre, e fu poi per tutto il regno pubblicata per ordine viceregio agli 11 di gennaro dell’anno di appresso 1453 (281).
Non si trattenne in Sicilia questo vicerè, che fino ai 16 del mese di agosto del suddetto anno, nel qual giorno noi troviamo un suo dispaccio viceregio (282), con cui adducendo la solita cagione della necessità di portarsi alla corte per conferire col sovrano alcuni affari d’importanza, sceglie per la seconda [79] volta per presidente del regno l’arcivescovo di Palermo Simone Bologna. È molto probabile che lo stesso Alfonso ve lo avesse chiamato, per affidargli il governo del regno di Napoli durante la sua lontananza. Continuava la guerra contro il duca di Milano, e la repubblica di Firenze, che abbiamo poco fa accennata; e siccome i Veneziani aveano preso a suo carico il portar le armi contro Francesco Sforza Attendolo, così Alfonso si era obbligato di attaccare i Fiorentini, e vi avea mandato con una considerabile armata il suo real figliuolo Ferdinando, che fe’ accompagnare da Federico duca di Urbino, e da Averso Ursino riputati in quella età per valenti capitani, acciò lo agevolassero colle loro truppe, e coi loro consigli (283). La campagna non riuscì molto vantaggiosa nè ai Veneziani contro il duca di Milano, nè alle milizie regie contro i Fiorentini; a tal che scorse la stagione, senza che ne avessero tratto nè Alfonso, nè i Veneziani verun profitto.
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