Arrivata la notizia di questo atroce assassinio al vicerè Lupo Ximenes de Urrea, ordinò il processo contro il Perollo, e i di lui complici. Mentre i magistrati raccoglievano le testimonianze, il vicerè fu chiamato, come or ora vedremo, alla corte. Antonio intanto riavutosi dalle sue ferite, e machinando di vendicarsi contro l’assassino, a cui la vista delle recenti cicatrici cotidianamente lo spronavano, non ebbe la pazienza di aspettare l’esito della tarda giustizia, ma radunata una poderosa squadra di uomini armati rientrò in Sciacca cercando il nemico. Questi a sorte non trovavasi nel proprio palagio, e udendo il pericolo era scappato dalla città. Antonio non potendolo avere nelle mani, attaccò gl’innocenti famigliari di esso, che fe’ tutti barbaramente trucidare, e lo stesso macello ordinò contro i parenti e i partitarî di Perollo, apportando la strage, e la desolazione a tutta la città. Nè ancor sazio fe’ incendiare il palagio di Pietro, e le case di tutti i di lui congionti ed aderenti. Questo fatto, per cui Sciacca restò rovinata per ogni riguardo, fu rapportato al re Alfonso, il quale volendo restituire la tranquillità a quello sventurato paese, d’onde colle mani intrise di sangue dei loro cittadini il Perollo, e il de Luna erano partiti, bandì l’uno, e l’altro di questi barbari cavalieri, e fe’ confiscare i loro beni.
Dovendo adunque, per ritornare là dove eravamo rimasti, Alfonso disporsi alla nuova campagna, e abbandonare Napoli, non è fuori di proposito, che egli abbia chiamato a sè il nostro Lupo Ximenes de Urrea, così per conferire con esso intorno alla presente guerra, come per affidargli il governo di Napoli.
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