Arrivarono eglino alla corte nel mese di gennaro del seguente anno 1459. Era incerto l’animo del re Giovanni a qual partito dovesse appigliarsi. Gli piacea da un canto il tener lontano dalla Navarra il principe Carlo, ch’essendo il vero erede di quel regno, potea suscitargli dei sinistri; ma temea dall’altro, che se lasciava questo suo primogenito in Sicilia, i Siciliani non fossero per acclamarlo per loro re. Non gli era ignoto il desiderio di questi isolani di avere un proprio sovrano, ed ei per esperienza lo avea conosciuto, quando come vicario del padre Ferdinando il Giusto fu al governo di quest’isola, dove gli convenne di fare una virtuosa resistenza alle seducenti esibizioni di taluni, che si dichiararono di volerlo mettere sul trono siciliano. Conoscea inoltre i meriti singolarissimi di questo suo primogenito, che si attiravano il rispetto, e l’amore di tutti, i quali in un trasporto potevano impensatamente eleggerlo per sovrano. In questo conflitto di pensieri conobbe che la peggiore delle risoluzioni fosse quella di lasciarlo in Sicilia, e determinatosi a richiamarlo, diede udienza agli ambasciadori, ai quali disse, che era inclinato a perdonare al figliuolo, purchè ritornasse in Ispagna, e destinò in Sicilia Giovanni Moncayo governatore del regno di Aragona, con ordine al figliuolo che tosto partisse accompagnato dal [86] vicerè (317) Lupo Ximenes de Urrea, e venisse nell’isola di Majorca, dove avrebbe saputa la sua volontà. In quanto poi alle grazie richieste dai parlamentarî ne accordò alcune, altre le negò, o ad esse non diede veruna risposta (318). Per toglier poi ai Siciliani ogni lusinga di restar smembrati dall’Aragona, nell’anno appresso 1460 alla dieta, o corte tenuta in Fraga nell’Aragona giurò per sè, e per i suoi successori, che i regni di Sicilia, e di Sardegna colle isole adjacenti non sarebbono mai separati dalla corona di Aragona (319). I mentovati capitoli si trovano sottoscritti dal re Giovanni nel suo palagio di Alcaçar nella città di Saragoza ai 25 di febbraro 1460 (320).
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