Aveano eglino il diritto di macellare per conto loro gli animali, ma costumavano di vendere ai Cristiani ciò, che sopravvanzava. Questo commercio delle carni da loro macellate era allora creduto un grave, ed enorme delitto, come quello che era proscritto dalle leggi canoniche. Peronde il vicerè superstizioso cattolico credè suo dovere di dar riparo a questo da lui creduto scandaloso disordine; e con suo decreto dei 25 di novembre 1460 ordinò che restassero separate le carni degli Ebrei da quelle che servivano ad uso dei Cristiani, o che tutto ciò che sopravvanzava a quelli, non potesse vendersi a questi, e dovesse restare per conto loro sotto pena di once venti ai venditori. Prescrisse inoltre, che fossero i Cristiani avvisati dal pubblico banditore di questo decreto, ed anche intimati i macellai tutti, i quali, qualora contravenissero, oltre la multa, sarebbono soggetti ad esser processati, e puniti come infrattori della legge.
Mentre questo vicerè ci governava, e precisamente l’anno 1462, in cui morì, accadde in Sicilia la carestia, da cui più che ogni altra città fu afflitta Messina. Si erano i Messinesi, per non far perire dalla fame i loro abitanti, provveduti di grani alla Licata, e a Naro. Ma, come soventi volte suole accadere nella scarsezza dei viveri, ne aveano comprati tanti, quanti soverchiavano al bisogno di Messina, per poter poi farne delle vendite altrove, e trarne profitto; e intanto la città della Licata, e quella di Naro, che erano state per così dire spolpate dai Messinesi, si erano ridotte in cotale penuria, che erano all’orlo di patire elleno stesse la fame da cui liberato aveano gli altri paesi.
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