Soggiunge che se mai l’arcivescovo di Genova si contentava di avere la provvisione di quaranta quintali di formaggio, di venticinque teste di bestiame, e di un cantaro di candele di sego, trattone il biscotto, che nella carestìa di allora non potea somministrarglisi, pagando tutto a denaro contante, e promettendo di tosto partire, senza più molestare nè la nave Cactana, nè gli altri vascelli del re; che in questo caso segli diano le suddette cose. E poichè i Trapanesi aveano anche richiesto che si mandassero in Trapani le due galee regie che erano in Palermo, il Requesens nega di poter farlo, servendo le medesime per altri affari più importanti del sovrano. Nell’ultima di queste lettere disapprova il vicerè la risoluzione presa di far giurare il padrone della nave di non partire dal porto di Trapani senza il suo previo permesso, essendo questo contro il diritto delle genti; e perciò ordina, che nonostante il giuramento e la promissione fatta, messer Giacomo, che così chiamavasi, potesse liberamente partire quando più gli piacesse, e prescrive ai medesimi rappresentanti della città di Trapani, che non desistessero dal difenderlo fino che dimorerà nel loro porto.
Nel tempo che l’arcivescovo di Genova facea la caccia alla nave Cactana, eravi nel porto di Trapani una nave veneziana comandata da Giorgio Dragone. Costui fe’ scendere in terra un marinaro genovese il quale cominciò a scandagliare il fondo del mare, in cui era la perseguitata nave di messer Giacomo. Avvedutisi i Trapanesi dell’opra che facea il marinaro genovese, lo fecero carcerare, e cercandolo trovarono, che avea in petto alcuni docati veneziani.
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