Solo diremo, che il vicerè, che stavasene a Messina, cercò tutti i mezzi di addolcire la disavventura di quegli infelici, ma non era in suo potere di renderne la condizione meno trista; fioccavano gli ordini dalla corte, che sembravano di non avere altro obbietto, che quello d’impinguare il regio erario colle loro spoglie.
Pressati da ogni parte gli ebrei ora dai loro creditori, ora dalla cessazione del traffico, ora dai ministri della regia corte, che pretendevano cento mila fiorini per le gravezze perpetue, che si voleano da loro esigere, quantunque non dovessero più dimorare nel regno; nè sapendo come riparare a tanti mali, presero la risoluzione di ricorrere al Sovrano, dimandando la dilazione a partire di altri due mesi, ed offerendo per questa grazia un donativo di cinque mila fiorini. Speravano eglino di poter così accomodare meglio i loro affari (544). Non fu loro difficile l’ottenere quanto dimandavano: cinque mila fiorini stuzzicavano le orecchie dei regî ministri. Noi abbiamo il dispaccio viceregio dato in Messina a’ 24 di agosto 1492, con cui si differisce lo sfratto loro fino ai 18 di novembre dello stesso anno (545), e di poi ottennero una seconda dilazione fino ai 12 di gennaro 1493. Così furono pagati alla camera del Re centocinque mila fiorini, con cui furono ricattate le secrezie di Palermo, che il fisco avea vendute, e saldato il preteso diritto della regia corte furono dissequestrati i loro beni, e fu loro permesso, che potessero portarseli, trattene le gioje, gli ori, e gli argenti, che si accordò loro di poter ricambiare con altre massarizie.
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