Siccome le Gerbe erano opportune a vantaggiare il commercio per l’Egitto, e per tutto il levante, e l’isola era ricca, accettò il vicerè di buon grado l’offerta; e dopo di avere segretamente concertato, per l’opera di due cristiani confidenti di Yaya ben Sahit, che segli sarebbono mandati de’ soccorsi, e ch’egli avrebbe consegnata la fortezza, e riconosciuto il re di Aragona per suo sovrano, spedì ivi le galee di Sicilia con truppe sotto il comando di Alvaro Nava. Questi arrivato all’isola non volle mettere a terra le soldatesche, se prima non segli consegnava il castello. Yaya non trovò disposti i suoi mori a renderlo, e perciò il Nava si preparava a ritornarsene in Sicilia. Quando uno de’ figliuoli di Yaya si accinse a persuadere quegl’isolani, prescrivendo loro che ubidissero, essendo questa la volontà di suo padre, e minacciando severi gastighi, se tosto non eseguivano il di lui volere. Parlò così coraggiosamente questo giovane, e atterrì in modo quei mori, che piegarono il collo a quanto loro si comandava, e a’ 18 di settembre 1497 furono sulla piazza inalberate le armi Aragonesi. Il Nava entrato nel castello, e provistolo di artiglierìa, e di tutto il bisognevole, vi lasciò per castellano un certo Margarito governatore della camera reale (574), e poi partì, e ritornò in Sicilia (575).
In questo istesso anno 1497 morì in Salamanca il principe ereditario di Aragona Giovanni, qual perdita fu sensibilissima a quei sovrani. Scrive il Maurolico (576), che arrivata nel mese di novembre questa infausta notizia, il senato di Messina a’ 25 dello stesso mese promulgò un bando, con cui ordinò, che le botteghe della città restassero chiuse per lo spazio di nove giorni; e ciò è molto naturale, per addimostrare il cordoglio di quella città per la morte dell’erede del regno; ma soggiunge, che abbia anche prescritto, che niuno per lo spazio di sei mesi potesse radersi la barba; alla qual cosa non possiamo sottoscriverci, parendoci stravagante codesto ordine, e pregiudizievole a’ barbieri, che in quel [133] frattempo inabilitati a procacciarsi colla loro arte il vitto, sarebbero stati costretti a limosinare.
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