Ora, per ritornare al regno di Sicilia, e al vicerè Giovanni la Nuça, ebbe questi ordine dalla corte di convocare il parlamento generale, per chiedere ai Siciliani dei soccorsi. In esecuzione dei reali comandi congregò egli in Palermo l’anno 1502 gli ordini dello stato, e quantunque ei sapesse che il sussidio, che si ricercava, non era ad altro fine domandato, che per la guerra, che si facea nel regno di Napoli, nondimeno nel proporlo ai parlamentarî assegnò un’altra causa, cioè la fama sparsasi che il Turco stava facendo dei grandi preparamenti, coi quali potea invadere la Sicilia, e che perciò era necessario di premunirsi per mare, e per terra, [136] a fine di tenerlo lontano. Sapeano benissimo gli ordini dello stato che codesto era un pretesto, e che l’oggetto era un’altro; nondimeno volendo compiacere il re Ferdinando, esibirono per donativo trecento mila fiorini; ma per far comprendere che non ignoravano la cagione, per cui era dimandato questo aiuto, non diedero il proposto destino all’offerta, che faceano, ma lasciarono l’esibito denaro alla libera determinazione del sovrano, dicendo: Sua Maestà ndi fazzi quillo sia più so servicio como meglu a sua Altezza plazza (595). In fatti noi non troviamo nei nostri annali che siesi fatto alcun preparativo contro il Turco. In questo parlamento il vicerè non solo ebbe il solito donativo di cinque mila fiorini, ma fu anche con un’atto particolare eletto regnicolo, per essere così capace di ottenere le cariche, e i benefizî, che non sono destinati, che per i soli nazionali.
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