In questo istesso anno 1503 scrive lo storiografo canonico Antonio d’Amico (599), che il vicerè stesso fu dalla corte confermato per altri tre anni nel governo di Sicilia. Lo stesso attesta Vincenzo Auria (600); ma nè l’uno, nè l’altro adducono monumento di questa proroga, e noi, per quante diligenze fatte abbiamo nei regî archivî, non ne abbiamo potuto rinvenire verun vestigio. Nondimeno così dovette accadere; giacchè egli continuò nell’esercizio della sua carica fino all’anno 1505, nella quale non potea rimanere senza il previo dispaccio del sovrano. Laonde crediamo che questa cedola siasi perduta, o che sia rimasta in Messina, dove forse l’avrà ricevuta. Quale sia stata la condotta di Giovanni la Nuça dopo di avere ottenuta la terza conferma, non è a nostra notizia, ma verisimilmente sarà stata la stessa, e ce ne persuadiamo da quanto saremo per dire.
In questo mentre avvenne che trafficando in Tunisi alcuni mercadanti genovesi, cioè Imperiale Dani e compagni, trasportandovi dei grani che traggevano dalla Sicilia, quantunque avessero dal Bey ottenuta una carta di salvacondotto, pure erano da quei Mori gravemente molestati; anzi abusando della forza, oltrachè tolsero a quei miseri trafficanti dieci mila ducati prezzo di venduto grano, li fecero anco metter in prigione, senzachè avesser potuto ottener giustizia da quel signore. Or quei mercadanti erano altronde debitori [137] allo erario regio di Sicilia di considerabile somma di denaro, ed essendo sequestrati in Tunisi li dieci mila ducati co’ quali avrebbero soddisfatto, ricorsero al vicerè La-Nuça, affinchè si cooperasse col re Tunisino per far loro riacquistare quella somma, e alle loro genti la libertà. Questo viceregnante adunque volendo compiacerli, ed insieme assicurare il credito alla regia corte, spedì a Tunisi il nobil uomo Polidoro Morana cavaliere trapanese cui consegnò le istruzioni sottoscritte in Messina a’ 20 d’aprile 1501, per le quali lo incaricava a far rilevare a quel moro sovrano la ingiustizia fatta a’ mentovati mercadanti, e a cercare la liberazione dei prigionieri loro aderenti, e la restituzione del denaro, facendogli conoscere che il dritto delle genti, e la giustizia così ricercavano, e che facendosi altrimenti lo stesso regno di Tunisi ne avrebbe sofferto de’ danni; avvegnachè i mercadanti intimoriti per lo soperchierie che si usavano loro si sarebbono in avvenire astenuti dall’arrecarvi dei viveri.
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