Et quatenus opus esset ad majori cautela, et contentizza di dicti baroni confirmari iterum dictu capitulu del re Don Alfonso (616) già per vostra altezza alias confirmato, et jurato in la generali confirmationi di li capituli, et privilegî de ipso regno, aczoché de cetero non li pocza essiri più inferuta molestia, nè controversia alcuna di parti di lu procuraturi fiscali di vostra altezza.
Raimondo de Cardona non andò egli stesso alla corte a presentare l’offerta del parlamento, e a richieder le grazie, che dimandavano gli ordini dello stato; ma spedì Cristoforo Brezena, il quale dopo di aver fatta l’offerta, come procuratore del Cardona, del donativo del regno, ed esposta la dimanda delle grazie richieste da’ parlamentarî, ottenne l’ultimo di giugno 1509 le determinazioni del sovrano intorno a ciò, che si cercava. La risposta per la istanza fatta di non essere il baronaggio vessato da Giovan Luca Barberi fu assai equivoca, per la quale l’accorto Ferdinando si lasciò la strada aperta di poter riacquistare al regio fisco i beni, che si possedevano da’ baroni senza alcun chiaro titolo (617). Noi avremo occasione di parlare nuovamente di Giovan Luca Barberio.
Era vicerè in Napoli il conte di Ripacorsa, che fu chiamato in Ispagna, ed in suo luogo fu eletto dal re Ferdinando il nostro Raimondo de Cardona (618), il quale non volendo lasciare il regno senza governante, in virtù della facoltà, ch’ei avea nella cedola, in cui era stato eletto vicerè di Sicilia, scelse per presidenti del regno Giovanni Paternò arcivescovo di Palermo, e Guglielmo Raimondo Moncada conte di Adernò, e maestro giustiziere del regno.
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