In quel tempo i viceregnanti stavano al palagio de’ Chiaramontani nella piazza della Marina, ch’era volgarmente detto lo Steri. Ebbero poi assegnati altri siti per dimorarvi, come in seguito anderemo notando.
Aveano sofferto malvolentieri i Palermitani che i loro ori, ed argenti si dovessero trasportare in Messina, per ivi ridursi in monete; e riputavano l’ordine viceregio non solamente pregiudizievole a’ diritti della capitale, ma dannoso ancora a’ suoi cittadini per i pericoli, che soffrir poteano ne’ trasporti i loro capitali. Aspettavano perciò qualche favorevole momento, per poter dimandare al monarca di Aragona di essere manutenuti nel possesso del privilegio accordato loro l’anno 1452 dal re Alfonso, con cui permettea la Zecca in Palermo. Arrivò la bramata occasione, quando il de Moncada convocò secondo il consueto il parlamento generale in Palermo a’ 12 di novembre 1514 (648). Espose nell’apertura di questa adunanza il detto vicerè le spese ingenti fatte dal monarca per dilatare la religione cattolica nelle parti di Barberìa, e per difendere il regno di Sicilia dalle invasioni de’ Mori, per cui gli era mestieri di tenere in piedi delle armate navali, e degli eserciti di terra, e perciò richiese dei sussidî da’ fedeli Siciliani. Sebbene gli ordini dello stato sapessero benissimo, che gli armamenti del re Cattolico erano indiritti ad altro, che a questi fini; nondimeno non intralasciarono di cercare i mezzi da soddisfare i desiderî del loro sovrano, e malgrado le circostanze infelici (649), nelle quali trovavasi allora il regno, esibirono i soliti trecento mila fiorini da pagarsi in tre anni, oltre il consueto regalo al vicerè di cinque mila.
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