Mentre il capitano della città, che era stato presente nella sala del senato alla lettura della supposta cedola, andava al regio palagio, forse per dar conto al vicerè del buon esito delle cose, un uomo del volgo lo fermò nella piazza della Marina, e gli chiese con arroganza una copia delle lettere reali. Si sdegnò questo ministro, ch’era Vincenzo Corbera barone di Meserandino, e rivolto a colui gli disse; che diritto hai tu uomo da nulla di farmi questa dimanda? che importa a te? ed accortosi che era armato contro le leggi, ordinò ai suoi birri, che lo legassero. Alle voci di questo insolente, che non volea lasciarsi disarmare, accorse una mano di sollevati, i quali sguainate le spade contro quei sgherri, li obbligarono a lasciarlo libero, e tale fu il terrore che arrecarono, che così eglino, come il capitano, furono costretti a fuggirsene (672).
Parve allora, che strappato quel plebeo dalle mani de’ satelliti, fosse cessato ogni tumulto; ma all’improviso sulla sera fu veduta per la città una numerosa squadra di ragazzi, che sogliono sempre essere i forieri degli ammutinamenti, quali erano guarentiti da cento uomini, che li seguivano da lungi sotto la mentita veste di villani, che sotto i loro cappotti erano bene armati. Questi avvicinandosi al regio palagio minacciavano di fare aspra vendetta del Moncada da loro chiamato il tiranno, se tosto non partiva. Il tumulto si accrescea di momento in momento, giacchè accorreva il popolo a storme in parte per curiosità, e in parte per unirsi a’ sollevati.
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