Non contenti delle minaccie, trassero dai baloardi i cannoni della città, e li collocarono dirimpetto al regio palagio, dichiarandosi che l’avrebbono posto a suolo, se il vicerè non partiva (673).
Stavasene Ugone atterrito a questo inaspettato movimento; nè sapendo a qual partito appigliarsi, giacchè crescea a dismisura il numero dei tumultuanti, fe’ loro chiedere per mezzo di un suo familiare cosa mai volessero? La risposta fu breve, giacchè tutti di accordo dissero, che voleano che immantinente abbandonasse la città, minacciando di ucciderlo, se subito non ubbidiva. Chiese egli due giorni di tempo per soddisfarli, ma gli fu anche negato questo breve spazio, e gli fu prescritto, che raccolta la sua suppellettile immediate sen’andasse. Siccome ad imballar la roba vi volea qualche ora, i sollevati intolleranti di ogni dimora accesero i micci, e dando fuoco ai cannoni, cominciarono a battere le muraglie del regio palagio. Il Moncada, che stavasene alle vedette, si accorse dal lume delle palle infuocate, che fra’ popolari vi erano molti armati di corazza, e capì che non la sola plebe, ma i nobili ancora, e i cittadini cospiravano contro di lui. Laonde privo di ogni speranza, e temendo della vita, pensò a salvarsi; e senza far parola con alcuno, uscì per la porta segreta del palagio in abito mentito, e andò a ricoverarsi nella vicina casa di Giovanni Antonio Resignano, e di là sotto la stessa veste passò alla marina, e s’imbarcò sopra una nave, con cui andò a Castellammare, d’onde in capo a due giorni prese la via di Messina.
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