Adempì fedelmente Diego dell’Aquila la sua commissione. Arrivato in Palermo radunò i baroni, e siccome Pietro Cardona conte di Golisano ritrovavasi a Catania, per sedare alcuni (684) disturbi nati fra Girolamo Guerreri, e Francesco Paternò barone di Raddusa, non volle nulla proporre, prima che questo cavaliere, ch’era uno de’ principali, non fosse ritornato. Venne il Cardona invitato dalle lettere dell’Aquila, e allora questo inviato del re fe a’ nobili nota la volontà del sovrano. Risposero eglino, che, comunque riputassero indegno di comandare il Moncada, nondimeno per appalesare la venerazione, che nudrivano per i decreti del monarca, erano per la loro parte prontissimi ad ubbidire, e a riconoscerlo come il ministro destinato da Carlo a reggerli; ma che non era cosa agevole lo indurre a questo sagrifizio la indocile, irragionevole, ed irritata plebe; e perciò protestarono, che se mai al ritorno del Moncada nasceano de’ nuovi scompigli, che potessero arrecar disturbo a sua maestà, e danno al regno, sapesse il re che non era in loro potere il rimediarvi. Consigliarono perciò l’inviato suddetto ad esaminare con accuratezza lo stato delle cose, e a far presenti al sovrano i pericoli, ai quali stava esposto il ritorno dell’espulso vicerè. Approvò l’Aquila questo consiglio, e prese le [155] necessarie informazioni della condotta, che si era tenuta dal Moncada nel suo viceregnato, e da uomo onesto, qual era, manifestò con sincerità a Carlo lo stato, in cui si trovava la Sicilia (685). Questo monarca, che nudriva
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