Date queste prime provvidenze, che interessavano l’erario regio, e la tranquillità del [157] regno, consegnò ai due marchesi di Geraci, e di Licodìa un’altro dispaccio sovrano, per cui si prescrivea loro che nello spazio di otto giorni partissero dalla Sicilia, ed andassero in Napoli, dove star doveano agli ordini di Raimondo Cardona vicerè di quel regno. Fè poi carcerare venti dei principali capi della rivoluzione, riserbando a se quando gli paresse opportuno, di castigarli; e finalmente fe’ promulgare per mezzo del pubblico banditore l’indulto, che il re accordava agli altri Palermitani (699).
Quantunque la plebe restasse allor contenta del perdono, che le veniva accordato era nondimeno timida; e sospettava che questa indulgenza non fosse finta, e che non si aspettasse un tempo più opportuno per castigarla. L’avere i sovrani trattenuti a Brusselles i due conti di Golisano, e di Cammarata, dei quali non si sapea se fossero liberi, o prigioni, e l’allontanamento, anzi l’esilio dei due marchesi di Geraci, e di Licodìa, che erano i principali magnati della Sicilia, facea dottare che si cercasse di privare il popolo di tutti gli appoggi, per potersi poi con più sicurezza aggravare la mano nel punirlo. Erano perciò costernati tutti coloro, che aveano presa parte nella tumultuazione, e dubitavano che questa segreta mina non fosse preparata da coloro, che stavano ai fianchi del Pignatelli, e da quelli, che erano stati del partito del Moncada, che era abbastanza rispettabile, e maggiore del loro, che colla lontananza di questi cavalieri andava di giorno in giorno indebolendosi.
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