Giovan Luca non intralasciò di animarli a non perder coraggio, e a liberare la patria dalla tirannìa. Venuta l’ora si avviarono al duomo; ma qual fu la loro sorpresa nel vedersi fallito il colpo? Non trovando ivi le vittime, che voleano sacrificare, sfogarono il loro sdegno contro Paolo Gagio archivario della città, uomo pacifico, e mansueto, che trovavasi per caso in chiesa per assistere a’ divini uffizî, e crudelmente l’uccisero. Fatto questo sacrilego omicidio, quali tigri avide di sangue uscendo dalla chiesa camminarono per la strada del cassero, e arrivati alla piazza detta volgarmente la Loggia cominciarono a gridare: muojano gli empî, e i traditori della patria, per opera dei quali i conti (intendendo de’ conti di Golisano, e di Cammarata) sono stati condannati a morte. Con queste voci trassero molti della plebe a prendere le armi, e ad unirsi con loro.
Cresciuti di numero corsero alla piazza della Marina (703), dove era il palagio reale, le di cui porte per ordine del Pignatelli trovarono chiuse, e continuarono la stessa cantilena: muojano gli empî ec. A queste voci si atterrirono il luogotenente, e quanti erano con lui. Crebbe poi il loro terrore, allorchè videro trasportati i cannoni dirimpetto la porta maggiore per buttarla a terra, e per aprirsi i sollevati il [159] varco all’entrata. Il conte di Monteleone irresoluto di ciò, che dovesse fare, fe’ loro dimandare che cosa mai volessero? Risposero, che volevano nelle mani i ministri del sacro consiglio; e richiesti di nuovo cosa mai ne volessero fare? dissero, che voleano ammazzarli; le quali parole da molti consiglieri, che erano nel palagio, ognuno può immaginarsi con quale animo fossero state ascoltate.
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