Acciò però questo grande affare fosse condotto colla maggiore accortezza, fu pensato di fingere, che eglino fossero della fazione dei congiurati, per essere a portata di sapere le loro mire, e che il Pignatelli dal suo canto mostrasse di secondarli, affettando paura, nel che non avea da stentar molto. Così si sarebbono costoro addormentati, nè avrebbono sospettato delle insidie, che loro si tramavano. Pascevansi intanto lo Squarcialupo, e i suoi compagni di magnifiche idee, e già aveano stabilito di riformare gli abusi, facendone delle premure al conte di Monteleone. Questi secondo il convenuto approvava il loro zelo, e fu stabilito il dì 8 di settembre, che era il giorno della nascita della Gran Donna, in cui nella chiesa dell’Annunziata dirimpetto il convento di S. Cita, presente il suddetto governante, si sarebbono segnati i capitoli della riforma. Il Ventimiglia adunque stabilì coi suoi compagni di valersi di questa occasione per fare mano bassa contro i sollevati, e trucidarli. Il Pignatelli, sebbene avesse promesso di intervenire a questo congresso, non ebbe animo di venirvi; tale era lo spavento, da cui era assalito, nel considerare l’imminente tragedia; e perciò ai 7 di settembre, senza farne parola a persona, uscì di notte dal suo palagio, accompagnato da un solo fedele servitore, ed imbarcatosi sopra una piccola nave se ne scappò a Messina (710).
Spuntato il dì 8 di settembre si seppe la fuga del luogotenente del regno, la quale dispiacque da una parte ai congiurati, che lo riputarono come mancatore, ed infedele, violando la promessa loro fatta di compiere con essi l’opera della riforma, e costernò dall’altra i nobili, che si videro abbandonati, pria che si fosse eseguita la già concertata disfatta dei sollevati.
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