Eglino fecero rilevare al vicerè gli spessi e continovi donativi, che fatti aveano a sua maestà, e le somme erogate così per ristorare le fortificazioni della Sicilia, come per mantenere le truppe necessarie alla custodia della medesima; gli fecero inoltre [183] osservare lo stato deplorabile, in cui era il regno per la carestìa, che lo molestava in quell’anno, e per cui si dubitava se fossero per bastare i pochi frumenti, che vi erano, per il sostentamento dei nazionali fino alla nuova ricolta; e conchiusero coll’offerta di soli cento mila ducati, che sebbene fossero pochi al bisogno, erano non dimeno il più, che potesse allora contribuire la nazione (834). È di avvertire in questo parlamento per prova della penuria grande di denaro, in cui era la Sicilia, che non fu esibito il solito regalo al vicerè, nè fu a’ regî segretarî, che servirono in quell’assemblea, fatta la consueta contribuzione.
Andò il Gonzaga colla flotta, che avea preparata, in Majorica, ch’era il luogo destinato per unirsi la poderosa armata, e dove aspettò l’imperadore, che vi giunse poco dopo. Noi non parleremo di questa infelice spedizione. L’Augusto Carlo, che avea sempre trovata la fortuna prontissima a secondare le sue imprese, questa volta conobbe che la istabile Dea volge alcune fiate a’ suoi amici le spalle. I di lui principali uffiziali, e sopratutto l’ammiraglio Doria, ch’era così sperimentato nelle guerre marittime, sapendo quanto fossero incostanti, e pericolosi nella stagione forte autunnale i mari di Algeri, cercarono di dissuaderlo per allora da quella impresa, e gl’insinuarono a differirla a miglior tempo, potendo avvenire che l’infido elemento, e i venti furiosi di quella stagione attraversassero il suo disegno, ed arrecassero l’intera rovina all’armata; ma Carlo ostinato non seppe rimuoversi dal suo pensamento.
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