Giunse egli in Palermo sulla fine del mese di maggio 1547, e vi si trattenne alcuni mesi. I principî del suo governo furono al sommo aspri, ed i Siciliani assuefatti alle maniere dolci del Gonzaga restarono atterriti nell’osservare l’eccessivo rigore, con cui operava. Il Caruso (867) racconta, ch’ei condannò a morte il marchese di Pietraperzìa, che dovette essere Guglielmo Barresi, uno dei principali baroni del regno, e un certo Covello avvocato. Bisogna essere d’accordo, che essendo il Gonzaga dimorato molto tempo fuori dell’isola, servendo nelle guerre il suo sovrano, si era introdotta una certa anarchìa nel regno, per cui i nobili, e i magistrati usavano delle prepotenze, e delle angarie, che i presidenti del regno non seppero, o non vollero gastigare, o perchè erano nazionali, o perchè sapeano, che breve sarebbe stata la durata della loro autorità, ed amavano più presto di lasciare correre i disordini, che di attrarsi l’odio di questi usurpatori, che terminata la loro presidenza poteano sperimentare nemici irreconciliabili. Il [190] Vega adunque volendo troncare le teste di questa nascente Idra, che tiranneggiava i popoli, si armò di uno eccessivo rigore, e diede il primo esempio, gastigando severamente uno dei più cospicui magnati, e uno dei più rinomati ministri. Noi avremo occasione in appresso di descrivere il carattere austero di questo vicerè, che spesse volte era scompagnato dalla prudenza, e diveniva perciò ingiusto.
Partì il Vega da Palermo nei primi di settembre dello stesso anno, conducendo seco la sua famiglia, e tutti i magistrati, e imbarcatosi sulle galee di Sicilia andò a risedere in Messina, dove arrivò nel dì 9 di esso mese, e vi fu ricevuto colle solite onorificenze (868). Avea egli in mira di continuare le opere del suo antecessore, e di ridurre la Sicilia in istato da non più temere lo sbarco dell’armata Turca, o le scorrerie dei pirati.
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