Queste grazie furono poi accordate l’anno 1550 seguente, sebbene non si fossero pubblicate in Palermo, che l’anno 1561 (875), dal suo successore il vicerè Giovanni la Cerda (876). In questo istesso parlamento fu ancora proposto, che era necessario per la sicurezza del regno, che si compissero le fortificazioni cominciate dal Gonzaga, per le quali sarebbesi reso inespugnabile, e fu stabilita una tassa di cento mila scudi da pagarsi fra lo spazio di sei anni (877).
Terminato questo parlamento, intento il Vega a munire il regno, partì nel seguente maggio da Palermo colla moglie, e andò a visitare la città di Catania, dove ordinò che vi si fabbricasse un altro baluardo; assistè egli stesso al taglio delle pietre necessarie per la detta fortificazione, e incaricò i capi di quella città, acciò invigilassero sopra i fabbricatori perchè questo bastione fosse colla possibile sollecitudine portato al suo termine (878). Noi crediamo che intorno a questo tempo siensi ancora fabbricati in Palermo i due baluardi, l’uno dei quali era detto volgarmente del tuono, che era frammesso tra le due porte Felice e dei Greci, e l’altro di là di quest’ultima porta verso il piano di S. Erasmo, che prese il nome dallo stesso vicerè, su cui stava uno scudo di marmo, in cui era scolpita la tanto decantata senza verun fondamento iscrizione: Vega dedit nomen et formam (879).
Non avea il Vega ordinata la numerazione degli abitanti per il solo motivo di far soffrire eguali pesi a’ nazionali, ma vi si era indotto principalmente, perchè avea in animo, come fece, di tenere in piedi un corpo di dieci mila fanti, e di mille e cinquecento soldati da cavallo, per essere pronti ad ogni temuta [192] invasione dei nemici.
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