Il Vega, che a torto si attribuì l’onore di questa impresa, dopo di avere fatto un ricco bottino (888), si rimbarcò col Doria per andare alla seguela della flotta di Dragutte, che scappava; ma essendo i venti contrarî ritornò a Trapani nei primi di ottobre, dove si trattenne fino al mese di giugno del seguente anno 1551 prima di restituirsi alla capitale (889). Nacquero allora de’ disturbi fra lui, e l’ammiraglio Doria. Pretendea egli che questi lasciasse una porzione della flotta per la [194] difesa della Sicilia, che potea essere assalita dall’inviperito Dragutte. Ricusava il Doria di compiacerlo, assegnando per motivo della sua renitenza, che le sue galee erano in gran parte rovinate, e bisognose di essere risarcite, e che non era prudenza lo avventurarle contro la flotta di quel corsaro, ch’era bene in ordine per combattere. Siccome il Doria era indipendente dal vicerè, malgrado il di lui disgusto, lo abbandonò, e andossene a Genova con tutta l’armata per riparare le sue navi.
Non erano privi di fondamento i sospetti del nostro vicerè. Dragutte irritato della perdita fatta nell’Affrica ebbe modo di fare entrare nei suoi interessi Solimano imperatore dei Turchi, il quale suscitato ancora da Arrigo II. re di Francia determinò di far la guerra all’augusto Carlo, e creò Dragutte Sangiacco, ossia governatore dell’isola di Santa Maora, dandogli ogni potere per apportar le armi contro Cesare. Il Vega a vista dei pericoli, da’ quali era minacciato il regno, non solamente spedì, giusta l’ordine che ne avea avuto, le galee siciliane al Doria destinato da Carlo a perseguitare Dragutte, ma si applicò ancora a mettere tutta l’isola al coperto delle temute invasioni.
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