Introducendosi così nell’animo di questo sedizioso, e facendogli presentire il pericolo, in cui si era messo, gli suggerì come amico, che il miglior partito per lui sarebbe stato quello di sottrarsi da questa impresa, e di fuggirsene la notte istessa a Paola sua patria. Piacque al Cataldo questo suggerimento, ed egli, senza far parola con persona, s’imbarcò, e andossene a rifuggire in Calabria.
Non sapendosi la fuga di costui, temeasi dal senato, e dagli altri magistrati, che il popolo col favore delle tenebre assalisse il banco pubblico per saccheggiarlo. Furono perciò posti alla custodia del tesoro dugento uomini bene armati con alcuni cannoni di campagna, affine di difenderlo da qualunque oltraggio dei malviventi. Partito il Cataldo per lo stratagemma del conte di Vicari, siccome i sediziosi privi di guida non sapeano cosa dovessero fare, così i buoni cittadini sperarono, che presto sarebbe ritornata l’antica calma.
La stessa notte si andarono cercando gli altri principali sediziosi, e fu agevole cosa di assicurarsene, i quali tostamente, costando la loro reità, furono affogati sopra alcune botti, e i loro cadaveri la mattina seguente 24 del mese si viddero appesi ai pali nella piazza della marina. Restò il popolo così atterrito a questo orrendo spettacolo, che niuno più ardì di profferir parola contro il senato. Così in poche ore fu estinto il tumulto che sarebbe stato perniciosissimo alla città, se la saggia condotta del conte di Vicari non lo avesse sedato felicemente al primo suo nascere.
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