Il re Filippo II, sebbene restasse dispiaciuto di questa risoluzione, non ostante per [211] il bene della pace si contentò che fossero ricevuti, ed osservati gli atti di questo concilio nei suoi stati, come or ora diremo.
Erasene ritornato il duca di Medinaceli in Messina, dove come si è detto, ricevuto avea la prorogazione del viceregnato. Ivi adunque l’anno 1564, convocò per i 2 di giugno l’ordinario parlamento, in cui domandò il solito donativo; e siccome era sembrata ai nazionali assai grave la prima gabella imposta nell’antecedente straordinaria adunanza fatta in Palermo l’anno 1562, il vicerè dichiarò, che S.M., restava contenta che si commutasse con un’altra imposizione. Gli ordini dello stato adunque congregatisi, dopo di avere risoluto di offerire al re i soliti trecento mila fiorini, si determinarono, giusta il permesso ricevutone, di abolire la imposizione sopra le sete, i panni, i peli, e le altre merci, ed in vece di essa risolvettero di mettere la gabella della macina, cioè di nove denari sopra ciascun tummino, ch’è una misura siciliana di farina; quale gabella si facea montare a cento mila scudi, ch’era il doppio di quanto prima si pagava, cioè di cinquanta mila scudi, che non bastava a sostener le truppe, e le galee, per cui era destinata. Dovea questa gabella ripartirsi sopra tutte le università, alle quali si lasciava non ostante la libertà di cambiarla in altre gabelle, ogni volta che fosse creduto più conveniente, purchè ognuno pagasse la quota, che dovea (965). In questo parlamento non troviamo fatto al vicerè il solito regalo di cinque mila fiorini; ma crediamo che se gli sia offerto, quantunque non si noti negli atti.
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Filippo II Medinaceli Messina Palermo
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