Questo pesante giogo, che i loro maggiori non aveano punto sofferto, non solo atterrì coloro, ch’erano tinti della pece della eresìa ma i buoni, e gl’innocenti ancora, i quali temeano estremamente l’esorbitanze degl’inquisitori, e le cabale, e le imposture che i loro nemici sotto l’orpello della religione suscitar poteano contro di essi. Cominciarono adunque e gli uni, e gli altri a far prima delle rimostranze al real trono contro la minacciata introduzione del S. Uffizio. Non essendo state accettate le loro preghiere, principiarono a tumultuare, e protestarono, che, se il re si ostinava a volere introdurre presso di loro il ridetto tribunale, si sarebbono sottratti dal dominio degli Spagnuoli. Irritato il re Cattolico, per sedare i sediziosi, volle adoprare il ferro. Invano la principessa Margherita governatrice delle Fiandre, invano il duca di Feria suo ministro gli suggerivano le vie dolci della moderazione, egli tenne fermo nel suo proposito, a cui forse lo istigavano ancora le insinuazioni di Roma, e non si fe’ poco ad ottenere da questo monarca, che non andasse come avea stabilito, di persona alla guerra. Destinò dunque alla testa dell’armata Ferdinando de Toledo duca di Alba, personaggio così altiero, e severo, che conferì moltissimo colle sue aspre maniere a distrarre interamente gli animi dei Fiaminghi dalla ubbidienza al proprio sovrano. In questa occasione fu dal re chiamato coll’armata il nostro vicerè Garzìa de Toledo per assistere co’ suoi consigli, e col suo valore il duca di Alba suo parente.
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