Noi non sappiamo se fosse universalmente accetto; certamente nol fu al ceto nobile, che colla creazione de’ presidenti perdette le insigni cariche che possedea, sebbene non fossero allora così cospicue e rispettabili come prima, e con quella de’ percettori vide lesa l’indipendente autorità de’ deputati del regno. Ebbe inoltre delle brighe col conte di Cifuentes, con Diego de Silva, con Martino di Aragona, e con altri cavalieri, che perciò non l’amavano, e le tresche amorose fra lui, e le loro dame in quella età, in cui la nazione era soggetta alla gelosia, nol rendevano sicuramente l’idolo de’ mariti, che n’erano martellati (1040).
Fu il di lui cadavere riposto interinamente presso i padri Cappuccini, e poi trasportato in Napoli nella sagrestia di S. Domenico, dove scrisse Cesare Eugenio (1041) che gli fu apposto il seguente epitaffio:
Virtutum Ausoniae Martis flos, gloria, fulmen
Hoc Fernandus olet, colitur, tumuloque refulget,
Livida quem Lachesis telo demersit acerbo.
Is modo ad Coelos aurata sydera calcat.
Avea egli date prove di uomo prode nell’arte della guerra prima di essere vicerè di Sicilia, essendo stato eletto comandante dello esercito di Milano; ed essendogli stato affidato, come lasciò scritto Tommaso Casto (1042), il comando di dieci mila fanti per la custodia dell’isola di Malta minacciata dalla invasione de’ Turchi. Quindi è fama che la di lui morte sia di molto rincresciuta al serenissimo Giovanni d’Austria, di cui fra poco parleremo; giacchè nelle istruzioni, ch’ei avea ricevute dal re Filippo, era stato avvertito, che nella guerra della sacra lega contro il Turco non si allontanasse da’ consigli del marchese di Pescara.
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